venerdì 6 aprile 2012

Cross Platform e il brand fluttuante


Transmedia e storytelling rappresentano l'ultimo confine, ancora parzialmente esplorato, di un nuovo modo di fare comunicazione per il brand.

Attratta dal tema, alcuni giorni fa ho deciso di assistere live alla lecture dal titolo "Transmedia e Storytelling" tenuta da Jeff Gomez, uno dei massimi Guro in materia, organizzata da Mattei Digital nell'ambito del progetto intitolato MeetTheMediaGuru.

Jeff Gomez è soprattutto uno dei fondatori della Starlight Runner Entertainment Inc. ed annovera fra i suoi clienti grandi multinazionali quali Disney, Microsoft, Coca Cola per i quali lavora come consulente di brand extension.

Ma qual è il significato di Transmedia storytelling?
Il Prof. Henry Jenkins  ,  fra i massimi teorici del concetto, lo definisce  come un processo in cui gli elementi integrali di una storia si diramano sistematicamente attraverso molteplici canali, con lo scopo di creare un'esperienza di intrattenimento omogenea e coordinata.

Il concetto in se è molto affascinante ma per chi come me lavora da tempo nel mondo dell'advertising,  non solo presenta un che di magico ma solleva anche una questione:  si può parlare di transmedability oppure tutti i brand sono potenzialmente trasnmediali?

Ma torniamo per un attimo al giorno in cui ho fatto la conoscenza di Jeff Gomez, che è anche il giorno in cui per la prima volta ho sentito parlare di floating brands.
Siamo a Milano e per la precisione alla Mediateca Santa Teresa, scenario degli incontri di MeetTheMediaGuru.
L'ingresso di Jeff Gomez nella sala circolare può essere descritto con una parola: "understated".

Fra le luci blu della scenografia, una colonna musicale a metà fra la chill out e la new age, Gomez appare all'improvviso.
O meglio appare la sua ombra.
Lo osservo mentre si aggira per la sala tenendo stretta fra le mani una piccola digitale con la quale cattura gli attimi prima dell'inizio dell'evento.
Subito ho avuto la sensazione che si sentisse uno fra i tanti avventori intervenuti per ascoltare il sapere del grande guro e non l'ospite d'onore.

Poi Gomez prende in mano un bicchiere d'acqua, la sala si fa silenziosa e il potere dei new media comincia a far sentire la propria presenza.
I tweets sulla sua storia e l'inizio della sua avventura professionale passano sui muri della sala circolare. 
Poi inizia a parlare.
Si racconta, racconta la sua storia.

Oltre al carisma, l'umiltà e la capacità di raccontare se stesso in dettagli anche personali, ciò che mi ha incuriosita è il tema del brand fluttuante.

Il brand per sua natura avrebbe la capacità di fluttuare fra diversi canali, adattandosi a codici narrativi fra loro molto diversi, comunicando mondi originali pur mantenendo un cuore centrale coerente.
Il cuore centrale è la storia, il contenuto, ciò che il brand ha da raccontare.

Transmedia storytelling ha quindi a che fare con l'espandibilità del brand in comunicazione. In questo senso il concetto di transmedia storytelling appare come un neologismo che in via definitiva identifica un tema non necessariamente nuovo.
O almeno così sembrerebbe.

Quello della brand extension in effetti è un topic al centro dei pensieri dei professionisti del marketing e della comunicazione ormai da tempo.

Più volte nel corso della mia esperienza mi sono trovata di fronte alla questione posta dagli uomini del marketing (e donne naturalmente): "com'è possibile rendere estendibile il brand X?" oppure :"è possibile capitalizzare la comunicazione per il brand Y?".

Domande come queste hanno implicazioni differenti per chi la comunicazione la studia e la progetta e per chi, in qualche modo, se ne serve.

I brand creators (i pubblicitari e i professionisti della comunicazione) vivono l'eterno conflitto nel costruire valore e prolungare la comunicazione del brand nel tempo; gli uomini del marketing invece devono essere sempre pronti a giustificare le proprie azioni con una parola chiave: "ROI".

Fra le cases portate da Gomez per raccontare la forza del transmedia storytelling vediamo nomi importanti come ad esempio: I Pirati dei Caraibi, La Principessa di Persia e Tron (Disney), Halo (Microsoft), Avatar (James Cameron), Transformers (Hasbro) e Happiness Factory (Coca-Cola).

La fonte nativa di questi grandi successi è spesso il manoscritto (Harry Potter) o il frutto della fantasia del suo inventore (I transformer);
è l'idea che ad un certo momento mostra tutta la sua forza creativa,  esplode nel vero senso della parola e invade altri mondi espressivi, mutando se stessa per adattarsi a codici sostanzialmente diversi da quelli che l'hanno generata.

Da quando ho sentito parlare di floating brand, la domanda che continua a ronzarmi nella mente è la stessa: tutti i brand hanno la stessa forza e la stessa potenza per diventare protagonisti di storie transmediali?

Una prima parziale risposta è si.
Ogni brand, ogni prodotto ha qualcosa da raccontare.
Diversamente ci apparirebbe vuoto e privo di significato.
E quando un brand ha una storia, un contenuto allora si che potrebbe cominciare a fluttuare.

Oggi sono sempre più consapevole che esistono delle idee con potere transmediale. La sfida, per il futuro, è di osservarle nel loro evolversi ma soprattutto di raccoglierne il potenziale anche per i brands che interagiscono con noi ogni giorno.

Perché ogni adulto è stato un piccolo essere umano, e l'interesse di ogni piccolo essere umano è da sempre catturato dai racconti, dalle storie.
Se impariamo a raccontare delle storie anche ai grandi, allora li avremo conquistati per sempre.

Nora Alcheikhmousse



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mercoledì 4 aprile 2012

The golden path: a way to enhance value of research expenditure

Uno spunto imperdibile per massimizzare e incrementare il valore della spesa in ricerca che ogni grande azienda destina ogni anno alle brand.



Prendi un istituto di ricerche quotato....
fissa un obiettivo di indagine per comprendere chi, come, perché il vostro prodotto o servizio viene scelto oppure no rispetto a quelli dei competitors....
Analizza  i risultati e condividili con tutti i colleghi del marketing oltre che con il tuo capo....
A questo punto chiuditi in una stanza e pensa, pensa, pensa: "come posso sfruttare a vantaggio del mio prodotto i risultati raccolti con la ricerca"? 
Se non ti viene in mente nulla tutti penseranno che hai gettato il budget di ricerca fuori dal finestrino dell'auto!


E puff! finalmente ti viene!!!! L'idea!!


Decidi di rinfrescare il prodotto aggiungendo una salsa piccante, chiami gli specialisti del packaging e dai il brief per la creazione di una confezione più semplice per scartare il prodotto. Poi chiami l'agenzia di pubblicità e dai "l'ordine" di sviluppare un nuovo nome capace di comunicare al consumatore finale la vera grande novità della stagione e, tanto che sei dietro, domandi di pensare ad una campagnetta stampa, oppure radio molto più affine al tuo target di riferimento, o anche tutte e due!
Fai un ultimo check sul prezzo, la distribuzione, la marginalità del prodotto, e finalmente sei pronto lanciarti nell'universo degli uomini di marketing di successo.....
Il prodotto entra finalmente negli store con un look tutto nuovo, una ricettazione entusiasmante, una distribuzione formidabile, un posizionamento a scaffale di tutto rispetto; la stampa è presidiata, la radio spara a manetta il comunicato del tuo "bambino". 
Insomma, non manca nulla.


A distanza di una settimana dal lancio qualcosa non gira.... il prodotto non vende come ti aspettavi.... il tuo bonus è compromesso come anche il rapporto con la tua fidanzata che vede il prossimo volo per il Messico sfumare sotto i suoi occhi.
E allora pensi, pensi, pensi..... dove ho sbagliato? che cosa ho tralasciato? 


So che questo potrebbe sembrare l'incipit di un libro sul perfetto uomo di marketing, super stressato e ansioso di entrare nella Hall of Fame dei grandi managers; so anche che la risposta alla domanda del nostro protagonista, che a breve leggerete, potrebbe sembrare un poco riduttiva ma, in verità, è solo una delle risposte per il suo fallimento.
Ed ecco la ragione.
Il nostro amico ha fatto del suo meglio per monitorare, analizzare e trarre conclusioni ragionate sul suo obiettivo di marketing; ha speso molto denaro per far si che la sua impresa trovasse il successo che tanto sperava.
Ha coinvolto tutti gli attori del processo, non ha tralasciato nessuno, proprio nessuno.
In realtà si è dimenticato del destinatario del prodotto. Attenzione, non che lo abbia totalmente dimenticato.... sappiamo che ha guidato una ricerca ad hoc per comprendere al meglio gli aspetti più profondi che guidano le scelte dei suoi consumatori.
Ma allora dove ha fallito?


Una possibile ragione è che non ha condiviso con loro le sue scoperte... 
Se lo avesse fatto, la sua impresa avrebbe avuto più probabilità di successo.
Se lo avesse fatto i suoi potenziali clienti avrebbero potuto suggerire se quanto emerso dalla sua ricerca fosse vero o meno, rilevante oppure no.
La domanda allora è: come avrebbe potuto farlo?
Una risposta l'ho trovata questa mattina navigando nei link di twitter alla ricerca di spunti, infografiche che oggi sappiamo vanno tanto di moda.
Poi mi è capitata sotto gli occhi questa: 




























































































e l'ho trovata un'idea superlativa. 
Qualcuno potrebbe dire "è una semplice infografica"; invece è molto di più.
Non solo perché permette di sintetizzare e apprezzare per immagini tutte quelle informazioni che generalmente vengono espresse con i numeri ma anche e sopratutto per il tipo di utilizzo che se ne può fare.

Ed ecco il golden path: l'infografica con i risultati di una ricerca potrebbe essere pubblicata e condivisa nella propria fan page di facebook, su twitter o ancora sul blog della brand.
E questa scelta avrebbe ancora più ragione d'essere tutte quelle volte in cui le ricerche 
hanno a che fare con i destinatari della comunicazione.

La semplice pubblicazione porterebbe moltiplicare il valore degli investimenti profusi in ricerca; il consumatore la valuterebbe come la dimostrazione di tutto l'impegno dedicato dall'azienda alla scopo di connettersi con le sue più intime necessità, ragioni di consumo.
Ancora una volta sarebbe la dimostrazione dell'importanza che un'impresa attribuisce all'ascolto dei destinatari di un prodotto o servizio.

Nora Alcheikhmousse









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lunedì 2 aprile 2012

BetaWise: Welcome Social Media!

BetaWise: Welcome Social Media!: Parliamo di una consapevolezza emergente:  essere presenti sui social media oggi significa incrementare le probabilità di sopravvivenza di u...

Welcome Social Media!

Parliamo di una consapevolezza emergente: essere presenti sui social media oggi significa incrementare le probabilità di sopravvivenza di un dato business domani.
I risultati del rapporto sulla SocialMediaAbility delle aziende italiane (seconda edizione dell'Osservatorio promosso dall'executive Master in Social Media, Marketing & Web Communication della Scuola di Comunicazione IULM) mette in luce come un numero sempre più crescente di imprese si appresta ad integrare i social media negli attuali processi di marketing e comunicazione.
Dal 2010 al 2011 vediamo come il numero di imprese che hanno adottato almeno un social media è cresciuto di 17,04 punti percentuali.
Seconda Edizione_Osservatorio Social Media_IULM Milano
Molte imprese e operatori del marketing si stanno interrogando su quelle che sono le modalità di utilizzo dei social media. 
Prima di fornire nuggets utili a muovere i primi passi nel mondo dei social, credo doveroso chiarire alcuni passaggi di concetto:

Strategia non obiettivo.
La scelta di avviare una strategia social media dev'essere intesa non tanto come fine ma per quello che è: un mezzo! I social media sono canali di comunicazione e come altri canali offrono l'opportunità di traghettare un'idea, un'iniziativa imprenditoriale, di raggiungere audience di nicchia oppure allargate, di ottenere un certo grado di brand awareness o ancora di guadagnare la fiducia dei potenziali clienti, di fornire loro un servizio personalizzato.
Le chiavi d'oro.
Le brand che hanno già adottato una strategia di social media hanno definitivamente consegnato le chiavi d'oro della propria casa agli ospiti d'onore: le persone.
Lasciare entrare le persone in quello che fino a ieri veniva considerato un luogo inaccessibile è il primo segno di una rivoluzione senza precedenti. Così come il profilo personale su facebook rappresenta lo specchio dei propri pensieri, gusti, preferenze, abitudini così la fan page di un brand dev'essere immagine riflessa del brand e in quanto tale dev'essere gestita con particolare cura e attenzione.

Il marketing diventa partecipativo.
Essere presenti sui social media significa aver spostato di 360° gradi il timone del marketing tradizionale.
Nel "Il Mulino che Vorrei di Barilla"  sono facilmente riscontrabili i frutti di una rivoluzione copernicana, dove i consumatori, i fans e tutti coloro che amano la brand entrano in diretto contatto con essa partecipando attivamente alle scelte strategiche che fino a poco tempo fa erano appannaggio dei soli uomini di marketing.

Social media: con o senza mass media?
L'implementazione di una strategia social non sostituisce e non esclude a priori l'integrazione con altri mezzi più tradizionali. Ogni mezzo che l'impresa sceglie di utilizzare per incanalare il proprio messaggio ha una funzione, raggiunge un dato obiettivo, si presta a parlare ad una certo gruppo di consumatori siano essi attuali, potenziali e adotta stili e codici di comunicazione diversificati.L'equivoco più frequente consiste nel convincersi che un messaggio costruito per lavorare su un determinato mezzo possa funzionare ed ottenere le stesse performance anche su altri mezzi.

Quali sono i primi passi per l'adozione di una strategia di social media?

Knowledge.
prima di procedere con un nuovo mezzo occorre prendere coscienza circa le sue potenzialità, l'adattabilità ad una situazione di prodotto o mercato specifica nonché l'impatto che essa potrebbe avere sui processi aziendali consolidati e sulle risorse esistenti.
Ci sono alcune domande preliminari alle quali è necessario dare delle risposte: quali obiettivi riteniamo raggiungibili attraverso i social?  La nostra impresa è strutturata per gestire, interpretare e utilizzare a favore del business la mole di conoscenza che è possibile raccogliere attraverso i social?
L'impresa, il prodotto, la brand possiede le caratteristiche per "partecipare" ai social? In altri termini qual è grado di socialability della brand? 
Poco tempo fa ha fatto clamore il caso della multinazionale McDonald's che allo scopo di riconnettere i propri fans con la brand ha lanciato #McDStories su Twitter invitando i marklover a raccontare le esperienze personali con la brand. L'invito ha attirato un numero considerevole di markhater che non hanno risparmiato la multinazionale dall'essere attaccata pubblicamente.
Ecco perchè è importante prendere coscienza del proprio socialability index o in alternativa costruire un team di risposta ad hoc. E qui entriamo nel territorio del reputation management.
Planning.
Pianificazione e sviluppo di un piano editoriale da trattare sui social. I social di successo hanno dimostrato fin qui di avere alle spalle degli ottimi contenuti; o meglio dei contenuti interessanti per l'audience a cui sono rivolti.
Domandarsi perché il pubblico dovrebbe interagire con i nostri canali social è il primo passo per determinare se i contenuti progettati hanno possibilità di successo.
Learning.
Quando un piano di social media è avviato e se i contenuti sono engaging al punto da attrarre una buona massa critica di fans, allora è il momento di mettersi all'ascolto.
I social media hanno a che fare con l'ascolto; non è possibile adottare un nuovo canale e pretendere che questo esploda. Le persone interessate a noi hanno sicuramente qualcosa da raccontarci o domande a cui chiedono risposte. Coltivarle è un must imprescindibile.
Monitoring.
Una volta avviata la campagna social occorre monitorarne l'andamento attraverso un'analisi sia quantitativa che qualitativa.
Il monitoring è un momento fondamentale nel processo in quanto permette di raccogliere il feedback sulle iniziative intraprese, comprendere le potenzialità della propria azione, persistere o riformulare contenuti, adeguare la relazione.
Esistono numerosi tools, alcuni gratuiti altri a pagamento, che permettono un monitoraggio costante.

I contenuti sono il punto di partenza di una campagna social, possono essere determinati a priori ma è solo dal contatto diretto con le persone e con le opinioni che esse esprimono su un dato servizio o prodotto, che l'impresa apprende le modalità più idonee per relazionarsi con successo.
In altri termini il processo di apprendimento on going è essenziale per calibrare gli interventi e costruire un dialogo personale, attivo, veramente utile e divertente per il fan.

Ed ora è possibile affermare: Welcome Social media!




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