lunedì 19 novembre 2012

Gamification: quando il gioco si fa duro

Personale, sociale, culturale: tutti piani rilevanti nella vita di una persona e che in questo istante sono sempre più espressi, significati e moltiplicati dai social media. 

Prendiamo atto della preminenza del 2.0. su tutti gli altri canali di comunicazione: non per niente sono il nostro megafono, il punto di sfogo, il luogo dei divertimenti, la piazza del confronto e della conversazione, il contesto dove scambiare informazioni, vendere e comprare cose.
E non solo.
L'ultima vittoria di Obama negli U.S.A conferma il ruolo dominante dei social anche in ambito politico: con twitter in testa si tratta di strumenti ormai prioritari per lanciare il dibattito politico, intercettare il sentimento dell'elettorato, monitorare il confronto e non da ultimo termometro in tempo reale di ciò che sta accadendo.
Per non parlare dell'implementazione e diffusione di "sofisticati" strumenti di monitoraggio post campagna che permettono di fare tesoro dei successi e delle sconfitte per capire come aggiustare il tiro in futuro.

Tutto bene, ma c'è dall'altro. Le rivoluzioni. I social media sono stati protagonisti indiscussi della "primavera araba" il movimento di ribellione che nell'inverno 2010/2011 ha condotto alla sovversione di molti sistemi dittatoriali presenti in paesi del Medio Oriente, Oriente e Nord Africa.

E le guerre. I alcuni paesi del mondo il ruolo attribuito ai social media rappresenta la nuova e singolare frontiera per diffondere consenso.
 
Negli scorsi giorni viene postato un link su un gruppo Facebook [il gruppo a cui mi riferisco è Socialtainment" ] che riconduce ad una notizia pubblicata da "Il Giornalaio" col titolo "Gamification della Guerra dell'informazione tra Israele e Hamas".
Il post de il Giornalaio porta all'attenzione un tema di grande attualità in ambito comunicazione e marketing : la gamification.
Cosa significa Gamification? 
In italiano può essere tradotto con "ludicizzazione".

E cosa ha a che vedere la Gamification con il conflitto in Israele?
La IDF [Israel Defence Forces] lancia dal suo blog una call to action a "giocare" per diffondere la verità su quanto sta accadendo in Israele in merito al conflitto con Hamas.
L'annuncio invita a far parte del "gioco" condividendo "affascinanti contenuti" che mostrano "cosa stai facendo per IDF" attraverso i social.
Viene poi presentato quello che sarà il premio per tutti coloro che svolgeranno al meglio il proprio compito.
 
Come potete immaginare la notizia ha destato l'interesse di chi, come me, si occupa di comunicazione e tiene sott'occhio i fenomeni emergenti.
E questo senz'altro è un fenomeno che merita piena attenzione.  
Come tutti i fenomeni anche questo mette in luce alcuni dettagli fra le righe; dettagli  non approfonditi dalla notizia de Il Giornalaio.
 
In prima battuta l' iniziativa di IDF ha rimestato alcuni ricordi dei miei primi anni di studio sulle comunicazioni di massa e sull'utilizzo strumentale che in passato molti governi dittatoriali ne hanno fatto (mi riferisco a Mussolini, Hitler per citarne un paio di comune conoscenza). Ma non ho idea se questo è il fine ultimo di IDF.

Mi domando subito dopo: "cosa c'entra la guerra con il gioco"? "Perché si stanno mutuando dei meccanismi ludici, recentemente presi in prestito a larghe mani dal marketing, in un contesto di guerra"? 
Non una guerra qualsiasi peraltro, ma un conflitto che ormai da troppo tempo tiene il mondo con il fiato sospeso.
 
Soffermiamoci allora sul principio che guida la Gamification per cercare alcune risposte.
La vita quotidiana è fatta di compiti e obblighi spesso mal digeriti dalle persone; il gioco può essere attivato in certi contesti allo scopo di trasformare un'azione obbligatoria in azione volontaria.
Fra gli obiettivi più comuni ritroviamo: induzione alla fedeltà, reclutamento, risoluzione dei problemi. Andando in profondità,  da un punto di vista psicologico e comportamentale,  la Gamification, stimola alcuni istinti primari dell'essere umano: la competizione, lo status sociale, il desiderio di ottenere compensi e successo. E queste sono le principali motivazioni per cui questo tool di marketing sta riscuotendo un discreto successo.
 
Tutto molto chiaro ma non ho ancora la risposta al mio quesito: "cosa ha a che fare un conflitto con il gioco se i contenuti, le conseguenze, le possibili implicazioni a livello mondiale sono tutt'altro che ludiche"? 
Dal post de Il Giornalaio rilfetto sui possibili aspetti positivi della notizia e, a sorpresa ne trovo uno: esiste una libertà, quella dell'informazione e della documentazione che oggi sempre più è diritto di ognuno. 
Questo fenomeno lascia piena libertà alla documentazione di ciò che accade intorno alle persone.
Probabilmente questo è uno dei dettagli trascurati ma che dalla mia angolazione rappresenta la vera notizia da dare. 
Per il resto, se avete un'opinione e ne avete voglia, lasciatemi i vostri commenti. Sarà un piacere parlarne con voi.

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giovedì 27 settembre 2012

Parah & Epicfail: nude riflessioni.

 
Una scelta, spacciata per pubblicitaria, suscita nel giro di pochi giorni 3232 commenti, fra cui molte delusioni e altrettanti insulti.

Ormai è chiaro, almeno per gli esperti di comunicazione e web 2.0: il presidio della rete non è un gioco da ragazzi, non è luogo di amenità a tutti i costi, non è posto dove una qualsiasi giustificazione vale il perdono. Fra le righe avrete già compreso che mi sto riferendo all'ultimo "palo" mediale preso in piena fronte da Parah. 
Ma per tutti i fallimenti e per tutte le piccole e grandi cadute resta sempre qualcosa di buono da raccogliere. 
Questo capitombolo mi ha dato la motivazione a riflettere ancora una volta sul mondo dei social media e quello della comunicazione e sulla necessità, sempre più viva e sempre più sentita, di integrare questi mondi affinché possano convivere e rispettarsi.
I social media hanno infatti principi e regole, la trasparenza fra le più importanti, ma anche la comunicazione ne ha e andrebbero rispettati. 

Facciamo un piccolo passo indietro e datemi il permesso di riferirmi a questa brand con il termine di "Signora", capirete il perché fra le righe di questo post.
Solo per coloro che non sapessero chi è Parah ecco una brevissima descrizione: 
si tratta di una "Signora" del nord Italia (Gallarate Varese) nata ben 62 anni fa.
Grazie al suo piglio e al buon fiuto per gli affari, la "Signora" si è guadagnata un'ottima fama affermandosi nel mondo dei costumi da bagno e dell'intimo, trasformando una realtà artigianale in un'impresa internazionale.

Ma perchè Parah si è trovata improvvisamente nell'occhio del ciclone? Cos'è accaduto realmente? 
Ecco una sintetica ricostruzione:
Luogo/Evento: Milano Fashion Week
Brand: Parah - nuova collezione estate dell'anno prossimo
Celebrity: invitate a sfilare con i bikini Parah Raffaella Fico, Elisabetta Gregoraci, Melissa Satta e Nicole Minetti.

Come credo tutti sapranno, la Minetti è Consigliere Regionale della Lombardia (part time), poi quando ne ha voglia si prende anche il tempo di fare la modella per noti brand.
Come credo tutti sapranno, la Minetti non ha una buonissima reputazione, ma non è questa la sede per approfondire, questa è la sede per le 3+1 nude riflessioni:

Posizionamento
Una formula magica fatta di tutti i significati che un brand costruisce nel tempo a partire dalla qualità o unicità del servizio o prodotto. 
Non importa se l'awareness è in calo, se le vendite non vanno come vorreste, problema peraltro comune in questo momento a moltissime altre realtà internazionali; quello che conta è che mai come oggi la coerenza e l'equilibrio rappresentano capi saldi sempre più importanti nella vita delle persone. Quello che conta è che se hai costruito e creato un unico posticino nella mente delle persone allora non puoi virare con violenza.
Il cambio di direzione è contemplato nelle strategie di comunicazione e si chiama riposizionamento, ma dev'essere traghettato sulla nave del buon senso, costruito passo dopo passo se non altro perché implica ridefinizione dei valori e dei significati che la marca intende trasferire ai propri fans, implica lasciare il tempo,  alle persone che sono affezionate al brand, di sposarne i nuovi valori.
Scegliere Nicole Minetti come ambasciatrice e rappresentante di Parah ha rappresentato un salto troppo lungo e i fans, come anche colore che probabilmente prima di questa vicenda non lo erano, si sono fatti sentire con forza sui social.

Ogni azione, ogni relazioni intrapresa contribuisce ad arricchire, nel bene e nel male, il posizionamento del brand; se è vero che Parah fino ad oggi ha scelto persone normali per le campagne di comunicazione (cito parte del loro scritto su FB "spesso i nostri modelli non hanno ottenuto l’attenzione sperata, ancora meno se i testimonial sono ragazzi e ragazze scelti tra la gente comune") allora è anche vero che per la sfilata di Milano la scelta della Minetti si è rivelata dirompente ma in senso negativo, perché contrasta con la patina di Signora che il brand si è costruito sino ad oggi.

La paura è nemica del controllo
Di fronte all'affermazione: "abbiamo sfruttato l’attenzione mediatica che circonda la figura di Nicole Minetti per rompere gli schemi e ottenere la Vostra attenzione" mi sovviene la figura del figliolo che tornando a casa da scuola racconta ai genitori di aver mandato "in culo" la maestra. 
E noi sappiamo perché l'ha fatto!!! Ovvio per attirarne l'attenzione.
E come reagirebbe un genitore di fronte ad una tale marachella?
Questo comportamento non è conforme ad una marca seria come fino all'altro ieri pensavo fosse Parah. 
Non posso ancora credere che il team di marketing e comunicazione di Parah abbia preso una decisione così avventata, evidentemente tattica e dettata dalla paura. 
E' come aver improvvisamente scoperto la "Signora" con le mani nella marmellata; immagino che un certo imbarazzo lo provi.
Già da più parti si ode l'accorata richiesta di scuse, come potete leggere sul blog di Paolo Iabichino.
E noi siamo qui pronti a vedere se ciò accadrà.

Trasparenza 
Ecco uno dei principi che preferisco del web e dei social media. 
Chi sta in rete non deve mentire altrimenti qualcuno potrebbe smascherarlo ... e allora la figuraccia sarebbe di portata ancor più devastante.
Davanti all'affermazione  "ma al giorno d’oggi l’unico modo per colpire l’attenzione sembra essere quello di stupire e creare scandalo" reagisco affermando.. beh signori questa è il classico verbatim da riunione anti-crisi agenzia di p.r./cliente dove si dicono certe cose ma quelle certe cose non escono e non devono uscire da quella stanza.
Capisco la volontà di rispettare la regola della trasparenza a tutti i costi ma attenzione anche qui dovrebbe prevalere il buon senso.. oppure no?

L'inganno sociale
Non si spaccia un clamoroso fallo con una finta finalità sociale... non prendiamoci in giro.
Quando sulla pagina FB di Parah leggo: 
"Una scelta pubblicitaria che non convincerà tutti i nostri fan. In questo modo però abbiamo ottenuto un risultato positivo: l’attenzione che le ragazze del Parah Online Contest ed il loro impegno meritano" mi convinco sempre più che si stanno arrampicando sugli specchi; che non solo si sentono obbligati a dichiarare le logiche che sottostanno le loro scelte (sbagliate) ma che stanno infamando il mondo della comunicazione e quello della pubblicità parlando di "scelta pubblicitaria".
Vorrei rinominare questa come "scelta suicida" che si addice di più.
Non trovate? 
Mi dispiace Signora Parah, lei che è sempre stata così "scicchetosa", da oggi dovrò collocarla nella galleria delle follie.

Se poi ci soffermiamo sul compenso che Parah avrebbe riconosciuto alla Minetti (per leggere alcune chicce seguite twitter #parah #epicfail, ne troverete delle belle) allora il termometro della vergogna potrebbe raggiungere livelli inaspettati.

Insomma questa vicenda ha suscitato un mix fra sdegno personale e offesa professionale. Se anche voi vi sentite in qualche modo offesi, allora fate sentire la vostra voce.

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martedì 14 agosto 2012

Sogni ancora il lavoro ideale? Da qualche parte la fuori c'è qualcuno che può offrirtelo.


Avete mai sentito parlare di Andy Sernovitz e del sito/progetto Word of Mouth.org?

Se non sapete di chi parlo, se non avete mai visitato il sito in questione www.wordofmouth.org, se la vostra professione è il marketing e/o la comunicazione vi consiglio di farvi un giro sul sito di Sernovitz, non solo perché troverete dei contenuti utili a integrare le vostre competenze professionali ma anche perché potreste individuare delle inconsuete proposte di lavoro.
Intuisco già un paio di grandi punti interrogativi sul vostro volto e sono quasi certa che vi starete domandando: "perché inconsuete proposte di lavoro?".
Inoltre, trattandosi di un'offerta internazionale, la seconda questione potrebbe essere: "a cosa serve considerare offerte di lavoro al di fuori del proprio paese se non a ingrassare il fenomeno della "fuga dei cervelli"?.
E no, domanda sbagliata! La seconda naturalmente :D
Ora fermatevi e riavvolgete il nastro. Non è nelle mie intenzioni e non è il mio mestiere quello di stimolare fenomeni del tipo "fuga di cervelli".
Se le vostre ambizioni per il futuro fossero dominate dal desiderio di vivere un'esperienza temporanea all'estero o ancora passarci il resto della vita, allora andate direttamente alla fine del post e seguite il link indicato; probabilmente potreste trovare la vostra occasione.
Viceversa, per chi come me ha deciso di investire la propria vita e le energie nella nostra Italia allora questo post assumerà il significato che vorrei dargli.
Veniamo ai motivi per cui sto scrivendo questo post.
Sono certa che sia capitato anche a voi di iniziare un semi lungo periodo di vacanze, dove la sovrabbondanza di tempo libero rispetto allo standard vi porta a riflettere su questioni di rilevanza personale: il classico momento in cui si fanno i bilanci, si tirano le somme si guarda al presente e si pensa al futuro.
Con questo spirito alcuni giorni fa mi sono soffermata a leggere un annuncio di lavoro pubblicato da WOM.org e nel tono di voce, nella descrizione dell'annuncio e nei contenuti dell'offerta ho trovato qualcosa che non avevo visto prima, qualcosa di sorprendente.
Vorrei dividere con voi questo qualcosa per due motivi in particolare:
1) infondere "motivazione" per chi è alla ricerca di un lavoro migliore;
2) offrire ai recruiters un'idea del delta che separa il mercato della selezione in Italia rispetto a quello di altri paesi nel mondo. 
Ammetto che mi piace l'idea di presentare un benchmark per la selezione delle risorse umane, quello che credo possa essere considerato un modello di riferimento nell'approccio alla ricerca e che con tutta onestà mi piacerebbe trovare anche qui, in Italia.
In ordine sparso, sintetizzo alcuni degli aspetti che hanno catturato la mia attenzione per evidenziare come WOM.org cerca risorse:
Competiamo per i migliori talenti.
 Si presentano così!
Non vi sembra di percepire un'inversione, neanche troppo velata, del paradigma di ricerca rispetto a quanto avviene generalmente? Nel nostro paese gli annunci di lavoro tendono a illustrare tutte le buone motivazioni per cui tu, potenziale candidato, dovresti desiderare a tutti i costi far parte di una certa organizzazione.
L'annuncio di WOM.org inverte la gerarchia dei soggetti: è l'organizzazione a desiderare un certo di tipo di professionalità e in questo modo da luogo a una competizione positiva fra professionisti. Insomma il miglior talento sarà quello che si aggiudicherà il lavoro. Non so voi ma io mi sentirei lusingata a essere scelta da questi signori.
Dovrai contribuire a generare un certo tipo di atmosfera.
Scorrendo l'annuncio emerge l'importanza attribuita non solo alle competenze, al saper fare puramente legato allo svolgimento di un certo compito.
WOM.org chiede che un professionista metta tutto se stesso in gioco compreso il carattere e la personalità. In altre parole le capacità dei professionisti non possono e non devono prescindere dal carattere e dall'approccio alla relazione con gli altri.
Con tutta probabilità in quest'organizzazione non si è mai sentito e non si sentirà mai una frase del tipo "eh non ha un bel carattere, non ama dare molta confidenza e alle volte è un pò scontroso... ma è la persona giusta per tenere quella data posizione.
Dovrai prenderti cura delle risorse e metterle a loro agio affinchè si sentano libere di esprimersi.
In WOM.org il professionista non pensa solo a se stesso. In quest'organizzazione emerge molto chiaramente un concetto di leadership e crescita professionale evoluti: quelli che passano attraverso la condivisione, il supporto, il prendersi cura delle altre risorse con cui si collabora, mettere a proprio agio i propri collaboratori così che possa crearsi un clima di fiducia dove comunicare le proprie idee non sia vissuto in modo conflittuale.
We believe..... and what we don't do.
Dopo aver indicato quello in cui credono, passano in rassegna quello che non sono e quello che non cercano: 
non cerchiamo Guru dei Social Media o del Marketing; se il tuo fine è diventare un esperto di Social Media o costruire una forte presenza in rete, questo non è il lavoro per te.
Anche qui, non trovate fantascientifico che venga espresso ciò che non otterrai con la posizione data? Mia personale opinione è che trovo questo approccio di una trasparenza ed intelligenza difficilmente reperibile altrove.
Last but not least: pagano leggermente sopra la media e dichiarano che non sono intenzionati a lanciare un IPO o a vendersi a grandi compagnie.
I valori e i principi del 2.0. stanno contaminando anche il mondo del recruiting?
Note: l'annuncio preso in considerazione in questo post è per un ruolo di Community Manager. Molte altre posizione sono aperte in questo momento presso la medesima organizzazione.
Se desiderate prenderne visione seguite il link.


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giovedì 28 giugno 2012

QR Code: if I were in your shoes

Creativi e non, con contenuti ad hoc oppure no, strumenti di vendita, brand engagement o brand experience oggi è per me giunto il momento di condividere alcune riflessioni ulteriori sul QR Code....

Dimenticatelo!
No.... non lo sto rinnegando sto solo cercando di allontanarmi dal tema degli  "usi impropri" o degli "usi virtuosi" che si possono fare del QR Code fine a se stessi per tornare alla base.

Oggi mi diverto a vestire i panni del marketing manager per provare a capire se è opportuno usare il QR Code per il mio prodotto/la mia brand, con quali obiettivi e con quali modalità.
E dato che il QR Code, sfruttando una tecnologia del tutto volontaria, rientra probabilmente nell'ambito del permission marketing, allora vorrei anche domandarmi se le persone a cui mi rivolgo, nel momento in cui le chiamo in causa, sono davvero potenzialmente interessate alle mie argomentazioni oppure no.
Diversamente ho fallito!!!!

Anche per il QR Code c'è un tempo e un modo di utilizzo,  come per tutto nella vita.

Le basi
Prima di decidere se integrare il QR Code nella propria strategia di marketing potrebbe essere necessario rispondere ad alcuni basics:

In quale categoria merceologica rientra il mio prodotto? Food? Giochi? Abbigliamento e accessori? Cosmetica? Bevande?
Il mio prodotto può essere considerato un acquisto d'impulso? Oppure è un acquisto pianificato? Rispondo ad un bisogno temporaneo o di lungo periodo?
Ha un posizionamento di prezzo accessibile oppure no?
E' un acquisto ad alto o basso coinvolgimento emotivo?

Si perché se sto passeggiando per la strada, durante la pausa pranzo, ed una nota marca di giocattoli mi offre un link alla home page del sito solo per mostrarmi "a colori" i giochi in questione ed il loro prezzo... beh mi vien da dire... ma chi se ne importa? La risposta è non è il momento, non è il caso.....a meno che io non stia impazzendo alla ricerca del regalo di compleanno per mio figlio.. quante probabilità? 1 su 10000 forse...

Mentre se lo stesso giorno, percorrendo la stessa strada mi imbatto in un QR Code presente sulla vetrina di un bar, decido di curiosare e scopro che in quel giorno, in quel momento si sta preparando il mio piatto preferito ... beh allora dico... grazie tante!!! quasi quasi entro dentro ad assaggiarlo.

Gli obiettivi di marketing
Dopo aver provato a dare la risposta giusta ai basics del mio prodotto allora è il momento di definire gli obiettivi.
Qual è la mia sfida di marketing? Quali obiettivi sono attribuibili al QR Code?

Il canale
Dopo aver individuato i miei obiettivi è giunto il momento di definire le modalità.
Dove deve vivere il QR Code? Sul prodotto? In advertising? Out of home? InStore? Sulla vetrina?

Ed ecco giunto il momento di mostrarvi una piccola raccolta di esempi utili a capire come, sulla base del mio prodotto, del tipo di acquisto che esso implica e degli obiettivi che intendo raggiungere è possibile fare un uso smart del QR Code 
1. In un mondo dove le carte igieniche sono delle commodity e sono tutte uguali [a parte quelle che si trovano nei punti di ristoro lungo le autostrade] Foxy ha individuato il canale (In home), l'obiettivo (brand engagement) e il contenuto (intrattenimento) per costruire un proprio, autentico coinvolgimento con la brand.
Foxy: not a normal toilet paper

 

2.Quando dare impulso alle vendite durante la pausa pranzo diventa l'obiettivo primario condito con un trick creativo di tutto rispetto (alla luce del sole) allora si combinano brand engagement con obiettivi di vendita immediata.
Emart - Sunnny Sales



3.Brand awareness mixato con un servizio ad hoc per i fashion addicted gli obiettivi di F&F la nuova subbrand del gruppo Tesco [puoi prenotare il tuo capo con una semplice scansione del QR Code presente sulle vetrine].

F&F by Tesco 



Se hai scoperto altre cases history....... condividile :D.....
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lunedì 25 giugno 2012

Festival Cannes 2012: valore nel sociale

A poche ore dalle ultime celebrazioni del Festival della Creatività di Cannes 2012 mi fa piacere raccogliere in questo post 5 progetti creativi, alcuni pluripremiati, che nel corso degli ultimi giorni monitoravo con occhio a metà fra il critico e lo speranzoso... 
Si perchè quest'anno il mio occhio, e forse quello di molti di voi, tendeva a soffermarsi sulla creatività di un certo tipo, quella buona, quella che fa bene all'umore o ancora quella che nel concreto si pone degli obiettivi  sociali come la campagna del Banco Popular di Puerto Rico o Shop Small di American Express.
Ammetto che non si può essere d'accordo con tutte le decisioni prese dalla Giuria di Esperti e che per questo non tutte le campagne buone mi hanno lasciato la stessa "piacevole sensazione": una di queste è Unhate di Benetton che per quanto finalizzata a sostenere scopi "umanitari" di un certo peso e valore, l'ho trovata pretestuosa e  iperbolica.
Adoro letteralmente Chipotle che resta la mia prima scelta dell'anno in termini di messaggio, trattamento, esecuzione, scelta della colonna e Integration Day di Saatchi&Saatchi.
Credo che il comune denomitore SOCIALE di molti progetti vincenti debba far riflettere in merito al ruolo che la comunicazione pubblicitaria e non svolge, direi da sempre,  nella definizione della cultura, dei principi, delle attese ed ora anche dei valori condivisbili universalmente.

1. Chipotle: Back to the start
2012 Film Lions Grand Prix and 2012 Branded Content & Entertainment Lions Grand Prix
Credits: Creative Artists Agency, Los Angeles - Client Chiptole - Cover by Willie Nelson



2. American Express: Shop Small 
2012 Promo & Activation Lions Grand Prix and 2012 Direct Lions Grand Prix
Credits: Agencies - Crispin Porter + Bogusky, Boulder, Colo., and Digitas, New York — Client: American Express

 

 3. Benetton: Unhate
2012 Press Lions Grand Prix

Credits: Agencies - Fabrica, Treviso, Italy, and 72andSunny, Amsterdam 


 4. Banco Popular: El Gran Combo
2012 PR Lions Grand Prix
 
Credits: Agency - JWT, Puerto Rico — Client: Banco Popular
 


5. Integration Day - Illy- Pampers - Averna- Toyota - Cartasi
2012 Film Golden Lions

Credits: Agency - Saatchi&Saatchi



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venerdì 15 giugno 2012

Coca Cola Security Camera: Spreading Love

Quando parti da un luogo comune e trovi il modo di reinventarne il singificato allora hai scoperto qualcosa di veramente nuovo.
Coca Cola Latin America è stata capace di superare le aspettative con la campagna "Coca Cola Security Camera". 
Quello che accade più spesso è che le video camere siano utilizzate per la sicurezza di strade, quartieri, metropolitane e utilizzate al momento opportuno quando è necessario trovare il "colpevole" del male fatto.
Non questa volta!
Questa è una storia che ha un lieto fine, e non solo.

E' una storia capace di diffondere speranza, serenità e voglia di guardare il mondo con occhi diversi.
Nel corso delle immagini scorrono dei super che esplicitano quello che sta per accadere: "people stealing kisses", music addicts, "attack of friendships"... insomma un'elenco delle interazioni positive che accadono tutti i giorni nel mondo.

E ora andate e diffondete.


 

Credits
Client: Coca-Cola
Producer: Landia
Creative Director: Martin Mercado
Music: Supertramp: "Give a little bit"
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giovedì 14 giugno 2012

Papà e pubblicità: viaggio attraverso stereotipi graditi e non.

Si sa, quando l'argomento di discussione è la famiglia, i figli e la capacità di crescerli il genere femminile non ha rivali.
Se solo proviamo ad immaginare un papà impegnato con pappe, pannolini, giochi e giardini, senza offesa per i padri in lettura, lo spettro del "padre imbecille" aleggia ancora oggi miseramente.
Date un'occhiata al video della BBC. 
Lo stereotipo del papi "combina guai" , anche se lasciato solo pochi minuti con i  figli, continua a scuscitare la classica risatina.



Di recente l' agenzia di P.R Edelman e The Parental Group [publisher of Parental & Baby Talk] hanno condotto uno studio il cui risultato non lascia alcun dubbio: il 66% dei papà sono convinti che vi sia un pregiudizio molto forte nei confronti del ruolo di padri, percentuale destinata a crescere fino all' 82% per quelli che hanno bambini al di sotto dei due anni di età [ricerca condotta su padri americani].
Lo scenario cambia colore se osserviamo il ruolo del "sesso forte" rispetto alle decisioni d'acquisto.
In una survey condotta da Yahoo* emerge come siano gli uomini a padroneggiare le scelte d'acquisto con il 57% che dichiara di detenere il primato e il 37% che invece condivide la responsabilità con il proprio partner. *ricerca condotta su 1000 persone.
Quando Kimberly-Clark Corp. ha elaborato la strategia di comunicazione per una delle brand più famose nel mondo infanzia [Huggies], deve aver incrociato il pregiudizio sulle capacità dei papà con il key trend per cui sono gli uomini a decidere cosa comprare.
E' con queste premesse è stata lanciata la campagna di comunicazione "Dad Test" per Huggies dove, in uno scenario del tipo "real time",  vediamo un gruppetto di papà impegnato nello svolgimento delle classiche mansioni materne.

New Huggies Commercial: Dad Campaign






Nessun dubbio circa le buone intenzioni di questa campagna ma quel che è successo dopo  da l'idea di come una tale rappresentazione del ruolo venga interpretata come "involontaria alimentazione di ridicolo" intorno ad una figura che fatica a imporsi.
All'urlo di  "Enough is Enough" una fazione di padri ha lanciato una petizione contro la Kimberly-Clark Corp. intimando la sospensione immediata della campagna. E così è stato.
Sicuramente i papà preferiscono uno spot come quello di VW Polo Dad dove l'insight che ha dato vita alla copy idea nasce anch'esso da uno stereotipo (istinto di protezione di un genitore verso i propri figli) ma questa volta vissuto con una nota di orgoglio paterno.

VW Polo Dad
 
Lo storytelling è sempre affascinante ma come abbiamo visto il tema della paternità può essere sceneggiato in modi molto diversi.
Mi piacerebbe capire cosa pensano in proposito i papà italiani. 
Se hai voglia prova a rispondere al breve questionario che trovi a questo link .
I risultati verranno aggregati e pubblicati non appena ci sarà un numero consistente di  risposte.

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